L’interesse per l’aspetto non verbale della scrittura ha origini antiche. Nel IV secolo a.c. il filosofo greco Aristotele è attratto dall’espressività del segno grafico, che intende come sintesi dell’elaborazione mentale e verbale. Nel II secolo d.c. lo storico romano Svetonio, autore della Vite dei dodici Cesari, descrive alcune caratteristiche della grafia di Ottaviano Augusto, quasi a sottolineare la sua originalità in sintonia alla complessa e particolare persona dell’imperatore. Nel 1622, Camillo Baldi, professore di Logica e Metafisica all’Università di Bologna, pubblica il trattato Come da una lettera missiva si conoscono la natura e le qualità dello scrivente, in cui punta la propria attenzione soprattutto sul modo di fraseggiare e di esprimere i concetti.

È nell’Ottocento, però, che la grafologia nasce come disciplina vera e propria. Si parla per la prima volta di Grafologia con l’abate francese Jean-Hippolyte Michon (1806-1881), il quale pubblica nel 1875 il primo manuale di grafologia, Système de Graphologie – l’art de connaitre les hommes d’après leurs écritures, fonda la Société de Graphologie e il prestigioso periodico La Graphologie. Michon comprende che il sistema nervoso gioca un ruolo primario nella vita psichica, fisica e nella grafia. Con uno studio sistematico, cataloga una serie di segni grafici ricorrenti, a ognuno dei quali attribuisce empiricamente una connotazione individuale. Dopo Michon, in Francia, in Germania, in Italia, studiosi di diverse discipline affrontano il mondo della scrittura, alla ricerca di strutture profonde, di leggi interpretative univoche e oggettivamente valide.

Nel corso del XX secolo nascono quindi in Europa differenti scuole di pensiero che pervengono spesso agli stessi risultati. Jules Crepiéux-Jamin (1859-1940), originario di Ginevra, continua in Francia l’opera di Michon. Lo psicologo svizzero Max Pulver (1889-1952) non prende in considerazione solo i singoli segni grafici, ma soprattutto la distribuzione dello scritto nello spazio. Lo spazio occupato dallo scritto sul foglio, l’inclinazione, la larghezza, lo sviluppo del rigo, e altre indicazioni, diventano indispensabili per Pulver per interpretare uno scritto. Il tedesco Ludwig Klages (1872-1956) sposta l’attenzione verso il complesso grafico e la sua fisionomia unitaria. Ania Teillard (1889-1978), allieva di Klages e collaboratrice di Pulver, apprende da Jung la psicologia del profondo. Lo scrittore e giornalista Robert Saudek, nato in Cecoslovacchia, conduce ricerche in Inghilterra utilizzando strumenti di indagine originali per l’epoca, come le tecniche di ripresa cinematografica. Esegue inoltre esperimenti sulle scritture dei gemelli monozigoti.

LA SCUOLA ITALIANA

Il fondatore della grafologia italiana è il frate Girolamo Moretti (Recanati 1879 – Ancona 1963). Sacerdote dei Frati minori conventuali, fu uno di quegli straordinari geni, che ogni tanto appaiono nel corso dei secoli. Le sue intuizioni psicologiche hanno suscitato lo stupore di tanti dei suoi contemporanei, molti ancora viventi, e un indiscusso riconoscimento in svariate sedi dell’attività umana. Nel 1905, accortosi casualmente che in Francia c’erano studiosi di grafologia, cominciò a dedicarsi a questa materia, traducendo la sua naturale intuizione in una originale e complessa disciplina, feconda di applicazioni. Pubblica la prima edizione del suo Trattato di grafologia nel 1914 e fonda la Scuola Superiore di Studi Grafologici di Urbino. L’originale sistema elaborato da Moretti si basa su una rigorosa casistica di segni distinti in sostanziali, modificanti e accidentali. Per ogni segno, Moretti fornisce le regole per la misurazione in decimi, il significato essenziale di persona, sentire e reagire dell’individuo. Inoltre fornisce la chiave interpretativa relativa alle combinazioni tra i segni, pervenendo a una prima fondamentale sistematicità nell’osservazione e nella trattazione della grafologia.